Coraggio.
Li osservavo giorno dopo giorno. Quello che mi ha colpito di più era il loro coraggio.
Perché ci vuole coraggio per raccontare delle storie che parlano di stupro, di omicidio, di violenza, di discriminazione di persone diversamente abili, e raccontarle anche dal punto di vista di una persona che viene da una cultura dove queste cose sono accettate, sono “normali”.
Quando cambiano le società, quando cambiano le norme, e quando cambiano i tabù?
Cambiano quando qualcuno comincia a parlarne. Anche se chi parla viene altrettanto discriminata, chiamata pecora nera, qualcuno che cerca solo guai.
Una persona non desiderata, perché per quale motivo dovremmo rompere il nostro equilibrio e mettere in dubbio che quello che crediamo, come viviamo, è il modo giusto per vivere?
Questi 36 ragazzi hanno sfidato le convinzioni e hanno cominciato a parlare. Prima solo tra di loro, in un percorso di 6 mesi, guidati dagli operatori delle associazioni Red Incola, Prisms Malta e Forme; poi con il pubblico dello spettacolo teatrale che hanno messo in scena, grazie a Dario Frasca, Luca John Nash e Jessica Adamo, il 26 luglio al Convento dei Carmelitani a Ballarò.
I giovani partecipanti, che non sono solo osservatori dei tabù ma anche protagonisti, volevano sfidarsi e mettersi in una situazione scomoda, fuori dalla loro comfort zone, volevano raccontare le storie di cui nessuno vuole sentire, a persone che non conoscono. Volevano far pensare il pubblico, non dare risposte ma porre domande, domande che si sono posti, e ora chiedono a noi. Hanno raccontato storie vissute in prima persona, come essere l’amica di una ragazza in una relazione violenta… familiari di persone marginalizzate perché sono diversamente abili… e cronache dei paesi, delle città, delle comunità di cui apparteniamo. Qual è il nostro ruolo in questi disastri? Qual è la nostra responsabilità prima che succedono, e qual è dopo?
Ad oggi è normale che sono morte 150 persone al Mediterraneo; è normale, che una ragazza è stata violentata di notte, per strada, tornando verso casa; è normale, che i giovani si distruggono di crack e tutti sanno da dove lo prendono e dove nascondono per farlo; è normale, che i diritti raggiunti, per cui le persone hanno lottato per anni, oggi vengono tolti, in un solo giorno.
Se viviamo in una società dove sentire queste cose è normale, perché ormai è diventato quotidiano, dobbiamo farci delle domande, o no? Davvero dobbiamo aspettare finché succedono a noi o a qualcuno che conosciamo? Veramente siamo diventati così individualisti che ci alziamo solo se la nostra vita e comodità sono a rischio?
Dovremmo cominciare a preoccuparci anche per le persone lontane, avere compassione e empatia, infuriarci per l’ingiustizia e avere voglia di dare voce a quelli che non possono farsi sentire, perché siamo della stessa razza, siamo parte dell’umanità.
Almeno ascoltiamo le domande. Aiutiamo la persona che parla. È una persona coraggiosa che rischia di essere soggetto di ridicolo, o peggio, punita da leggi disumane e dittatoriali.
Cambia tutto. Non c’è una cultura, una società, senza cambiamento. Ma dobbiamo dare la direzione giusta a questo cambiamento. Ognuno è protagonista, poiché i tabù sono le cose di cui non parliamo, ma tutti li conosciamo. Li condividiamo tutti, quindi siamo responsabili, insieme, a cambiare le cose.